Cenni Storici

CENNI STORICI - LA ZEZA DI MERCOGLIANO

La Zeza

Rappresentazione teatrale popolare antica tragicomica a trasmissione orale, tipica della Città di Mercogliano, che si inserisce in un contesto più vasto di manifestazioni carnevalesche, il cui significato originario risiede nell’antico valore sacrale che aveva la festa del Carnevale. Viene rappresentata nel periodo compreso tra il 17 gennaio e il martedì grasso di ciascun anno. Farsa tragicomica che si rifa’ alla Commedia dell’Arte, la sua origine risale al XVII secolo. I Personaggi chiave sono: Zeza Viola, ovvero Lucrezia, suo marito Pulcinella, detto Gran Turco, la loro figlia Purziella, ossia Porzia, nella nostra tradizione “Vicenzella”, il pretendente alla mano Don Nicola e il padrone della taverna Don Fabrizio, il Marinaio che oltre ad avere la parte cantata, guida il Ballo Intreccio. Particolarità della Zeza di Mercogliano è che la quadriglia, tipico ballo popolare eseguito tramite l’intreccio delle mani, qui viene eseguito con archi fioriti detti per l’appunto intrecci. La rappresentazione, che coinvolge quasi 200 protagonisti, avviene per strada o in piazza e i suoi attori sono solo uomini così come vuole la tradizione del teatro greco. La Canzone di Zeza celebra sotto forma di contrasto drammatizzato un rito matrimoniale e trae origine dagli antichi riti propiziatori. La Zeza di Mercogliano è inserita nell’Inventario del Patrimonio culturale immateriale campano con D.G.R. n. 205 del 07/10/2019.

CARATTERISTICHE DELL’ELEMENTO CULTURALE

La rappresentazione “La Zeza” di Mercogliano si compone di tre parti diacronicamente distinte ma senza soluzioni di continuità. La prima parte è costituita dal corteo processionale delle maschere, con accompagnamento della banda musicale. La seconda parte costituisce invece la rappresentazione vera e propria. Infine, la terza conclude la festa con la grande quadriglia finale, detta Ballo Intreccio. Lo spazio teatrale della rappresentazione si struttura attraverso due figure fondamentali: il cerchio di pubblico che circonda la scena e la linea continua del corteo processionale. Il giorno della rappresentazione tutti coloro che vi prendono parte giungono sul posto già mascherati e si dispongono a formare un corteo processionale che dovrà sfilare per le strade. In testa al corteo si dispongono i “Battistrada” che altro non sono che l’equivalente della maschera napoletana del pazzariello, ossia il banditore, a seguire i piccoli Pulcinella guidati da un Pulcinella anziano, a seguire ancora i personaggi in maschera che rappresentano gli antichi mestieri che si potevano trovare all’epoca e che interagiscono con la cantata. Subito dopo troviamo le maschere che raffigurano i personaggi del corpo centrale della Zeza della rappresentazione: Pulcinella con la moglie Zeza, la loro figlia Vicenzella vestita da sposa, con lo sposo Don Nicola, e a chiudere Don Fabrizio. Al centro del corteo si predispone la banda musicale, subito dopo il Marinaio con la sua pacchiana, i cacciatori e le pacchiane con gli archi fioriti che chiudono. A completare il corteo le altre maschere come il diavolo, la morte, il prete, il giardiniere, i vari venditori ambulanti e mestieri antichi ruotano intorno a quelli principali. Il corteo inizia a sfilare e dopo essere giunto nel posto scelto, si dispone in cerchio, in modo da formare uno spazio libero destinato alla rappresentazione. Si dà inizio alla Canzone di Zeza la cui vicenda si può sintetizzare così: Zeza, moglie di Pulcinella e madre di Vicenzella, vuol maritare la figlia. Pulcinella, nelle vesti di padre geloso, vorrebbe invece che la figlia restasse nubile o che comunque si sposasse il più tardi possibile. Si raccomanda perciò alla moglie affinché tenga Vicenzella ritirata in casa. Ma Zeza, vecchia ruffiana, lascia che la figlia venga corteggiata. Si fa innanzi un primo pretendente, il Marinaio, che dopo una fugace cena d’amore, viene scacciato da Pulcinella. Segue una scena di alterco tra Pulcinella, la moglie e la figlia. A questo punto entra in gioco il secondo e più importante pretendente: lo studente calabrese Don Nicola. Vicenzella, incoraggiata dalla madre, incontra di nascosto il suo spasimante. Ma la tresca viene scoperta da Pulcinella che caccia in malo modo il povero studente schiaffeggiandolo. Don Nicola va via offesissimo, ma ritorna armato di fucile per vendicarsi. Spara e ferisce Pulcinella. Sorretto dalla moglie e dalla figlia, Vicenzella implora il feritore che lo guarisca. Don Nicola accetta ma, in cambio, chiede il consenso alle nozze. La rappresentazione termina con l’invito rivolto agli spettatori a partecipare alle nozze e nel frattempo ci si dispone a ballare la quadriglia. Al termine del ballo si riprende il corteo e ci si sposta nel successivo luogo convenuto per la rappresentazione.

La Storia

A praticare l’elemento culturale sono esclusivamente uomini di età compresa tra i 5 anni dei piccoli Pulcinella e i 90 anni dei decani del gruppo. Sono tutti nativi di Mercogliano e si tramandano da oltre un secolo oralmente di generazione in generazione le conoscenze di questa tradizione. Alle donne è affidato l’incarico di preparare e cucire rigorosamente a mano i vestiti e gli accessori, nonché di provvedere al trucco prima della sfilata. La Zeza è una farsa tragicomica e si rifa’ alla “Commedia dell’Arte” ma affonda le sue radici in riti molto più antichi che si rifanno ai riti di rinnovamento e propiziazione che si ottenevano attraverso pratiche magico-rituali, prima eliminando tutto il male accumulatosi durante l’anno passato e poi propiziandosi un buon andamento del nuovo anno. Sia i riti di rinnovamento che quelli propiziatori diedero origine a forme drammatizzate. La Canzone di Zeza va collocata tra quelle forme drammatizzate che ebbero origine dai riti di propiziazione e più specificatamente tra quelle che si riconnettono ai riti di fecondità. Il primo a darcene notizia fu Croce che ne attribuì l’origine al sec. XVIII (durante l’occupazione del regno di Napoli da parte dei re di Spagna), anche se il De Simone la farebbe risalire al 1500, allorché era in voga la Villanella napoletana con la quale la Canzone di Zeza avrebbe affinità di struttura metrica e melodica. Non possiamo però sapere attraverso quale graduale processo di inserimento l’opera sia penetrata nel tessuto culturale e sociale in cui agisce tuttora. Nel 1700 la Zeza, opportunamente purgata, entra negli atteggiamenti borghesi e nei salotti napoletani. Parecchi scrittori dell’800 poi la datano alle “atellane”. La Zeza è un pezzo di teatro popolare campano, riuscito ed apprezzato, una sorta di “Promessi Sposi” volgare, una rappresentazione che preesiste nella cultura contadina e urbana della regione. Nella seconda metà del XIX secolo, a seguito dell’emanazione di divieti ufficiali che ne proibivano la rappresentazione per le strade “per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi ed osceni”, la “Zeza” fu accolta, esclusivamente nel periodo di Carnevale, nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, dove il pubblico notoriamente interloquiva con gli attori nel corso della rappresentazione "con sfrenatezze di gergo e di gesti”. A causa di questi impedimenti la “Zeza” si diffuse quindi nelle campagne adiacenti e, con caratteri sempre più diversificati, nelle altre regioni del Reame di Napoli. Nei primi anni del ‘900 gli attori si esibivano specialmente nelle grandi “Masserie” e dopo ogni esecuzione veniva bandita una grande tavola con formaggi, salame, pane, frutta secca e vino. Solo dopo la seconda guerra mondiale fu introdotto l’uso della questua in denaro per sopperire alle spese di allestimento sempre più care. Nell’anno 1968 a Mercogliano le “Zeze” furono addirittura due: quella di Capocastello (il centro storico e la zona alta della città) e quella del Casale. Claudio Rubino nel ripercorrere le origini del testo della canzone di Zeza, traccia la mappa di una simbologia arcaica filtrata nell’Opera Buffa con i suoi sensi allusivi e i suoi mascheramenti. La rappresentazione della Canzone di Zeza aveva prima un’area di diffusione assai vasta che oltre a comprendere tutta la Campania si spingeva anche nelle zone periferiche. Oggi l’area di diffusione è più ristretta all’hinterland avellinese per ovvi motivi di disgregazione della cultura popolare a trasmissione orale. Nel 1971 la “Zeza” di Mercogliano fu conosciuta a livello internazionale grazie a Pier Paolo Pasolini che la inserì come colonna sonora del suo film “Decameron”, Orso d’argento al XXI Festival di Berlino del 1971. “Zeza” da sostantivo successivamente è diventato aggettivo e poi aggettivo sostantivato per indicare una donna che aveva le medesime caratteristiche di questo personaggio. Dal punto di vista storico, quindi, la pratica della Zeza di Mercogliano risale agli anni successivi al decreto regio della metà del secolo XIX quando la Zeza si sposta nell’entroterra campano. Le prime notizie storiche tramandate a noi oralmente risalgono ai primi del ‘900 a Mercogliano, allorché la Zeza veniva cantata dai pellegrini provenienti dal napoletano, ma già in quest’epoca era una tradizione ben consolidata nel nostro territorio. Le modalità di trasmissione della Zeza di Mercogliano sono prettamente orali, il passaggio avviene sia all’interno dei gruppi familiari sia all’interno di tutta la comunità. Per quanto riguarda la canzone di Zeza sin da bambini la si ascolta nel periodo carnevalesco in tutte le contrade della Città, inoltre viene cantata in occasione di ritrovi familiari o festeggiamenti parentali. L’Associazione cerca ogni anno nuovi attori tra i partecipanti da formare e a cui poter tramandare tale tradizione. Non tutti i partecipanti hanno le caratteristiche giuste per poter interpretare la Canzone di Zeza, per cui ad ognuno viene assegnato il ruolo più vicino alle proprie attitudini. Tra le competenze richieste per esibirsi bisogna avere: memorizzazione, intonazione, giusta vocalità, presenza scenica, capacità di coinvolgere il pubblico, buone doti di ironia ed allusione. Nel periodo che va ad ottobre a febbraio iniziano le prove per la manifestazione carnevalesca che prevedono esercitazioni legate alla recitazione, al canto e al ballo. L’Associazione organizza, inoltre, incontri divulgativi presso le scuole elementari e medie del territorio al fine di promuovere la conoscenza di questa antica tradizione tre le nuove generazioni, e riuscendo in alcuni casi anche a scoprire nuovi talenti. Ogni anno vengono realizzati convegni sul tema sia dall’Associazione che in collaborazione con altre Associazioni ed enti locali. Le collaborazioni anche in ambito universitario (Università Federico II di Napoli e Università degli Studi di Salerno) hanno permesso di sistematizzare la tradizione della Zeza, oggetto di studio da parte di diversi laureandi in materie sociologiche ed antropologiche e creando così dei testi di approfondimento sul tema.

I valori Sociali

I valori sociali e culturali racchiusi nella “Zeza” non sono frutto dell’attività creativa dell’individuo ma sono frutto di forme istituzionali della tradizione: accumulazioni progressive nate dalle necessità culturali della collettività. Sono frutto di sedimentazioni nate per rispondere alla necessità di aggregazione socio-culturale. La tradizione della Zeza nel tempo ha consolidato i personaggi le cui mutazioni sono poche e lente. Il valore sociale di tale rappresentazione si concretizza in un rituale che in passato aveva lo scopo di esorcizzare l’ignoto per predeterminare il futuro, mentre oggi ha la funzione di autoidentificazione culturale della comunità. La sua teatralità non è che un’autorappresentazione della comunità la quale, nel momento stesso in cui si autorappresenta, ne è perfettamente consapevole. Il matrimonio di Vicenzella trova il suo significato simbolico nella fecondità della terra. Nella rappresentazione della Canzone di Zeza del Ballo Intreccio tutto assume una connotazione simbolica, a partire dai colori per arrivare alla musica. Tutto è esasperato per la presenza sovrabbondante di motivi decorativi ed in particolare di quelli floreali. Il colore è l’elemento dominante, esplode come un’eruzione e affascina l’occhio. Costituisce di per sé uno spettacolo, quello simbolico della natura che sboccia, della terra che produce i suoi frutti. I colori predominanti sono: il nero e il viola, simboli della morte, il bianco simbolo delle anime dei morti e dell’iniziazione, il rosso simbolo del fuoco, allo stesso tempo purificatore e distruttore, il giallo simbolo del sole e dell’oro, e l’azzurro il colore del mondo celeste. È anche interessante osservare sotto il profilo puramente rituale la Canzone di Zeza, rituale che affonda le sue radici nei riti pagani del passaggio stagionale dall’inverno alla primavera, ossia dalla morte alla vita. Pulcinella qui rappresenta l’anno-padre che, ormai vecchio e morente, viene ferito, per l’esattezza castrato, dal futuro genero-figlio Don Nicola. Costretto dagli eventi, deve accettare quello che è il normale scorrere della vita, acconsente alle nozze, per cui si assicura la continuità del ciclo rigenerativo attraverso i figli. Una tradizione che si tramanda da generazioni e che ha saputo così bene rappresentare la Commedia della Vita con i suoi intrecci (da qui il cosiddetto ballo intreccio o ‘ndrezzata).

Diffusione Geografica

La rappresentazione della Canzone di Zeza aveva prima un’area di diffusione assai vasta che oltre a comprendere tutta la Campania si spingeva anche nelle zone periferiche. Attualmente la Zeza è circoscritta nell’hinterland avellinese dove sopravvive ancora in determinate comunità. Nello specifico a Mercogliano è una tradizione ancora molto viva e sentita. La partecipazione all’evento raccoglie ancora oggi circa 120 elementi che attraversano tutte le generazioni dai 5 ai 90 anni facendo sì che ci sia uno scambio culturale tra i partecipanti affinché resti sempre viva quella tradizione orale che rende la Zeza di Mercogliano unica nel suo genere. La differenza tra le altre manifestazioni carnevalesche irpine è dato dal fatto che a Mercogliano sono ancora presenti maschere che in altre tradizioni non troviamo più. Questo grazie proprio a quella connessione tra vecchi e giovani che è l’anima vitale della Zeza. Oggi l’area di diffusione è più ristretta per ovvi motivi di disgregazione della cultura popolare a trasmissione orale. Dagli inizi del 900 fino agli anni ’70 la Zeza riusciva a sostenere i costi di realizzazione della manifestazione con la questua in generi alimentari che raccoglieva nelle contrade e nelle Masserie sparse sul territorio. Dalla fine degli anni ’70 ad oggi è subentrata la questa in denaro per sopperire alle spese di musica e trasporto, mentre le spese per vestiti e gli accessori vari sono a carico dei partecipanti. A salvaguardia di questa tradizione nel 1983 è nato il Comitato Permanente Zeza di Mercogliano che poi ha dato vita nel 2004 all’Associazione “La Zeza” di Mercogliano con lo scopo di custodire e tramandare la tradizione orale. A Mercogliano tale tradizione nasce nel centro storico di Capocastello e lì viene tramessa oralmente di generazione in generazione, attraverso lo studio della musica e delle strofe. L’Associazione mette in campo durante tutto l’anno tutte quelle attività di formazione necessarie affinché i giovani si introducano nella rappresentazione e che con gli anni sostituiscono quelli più anziani. Il pericolo di questa tradizione come di tutte quelle a trasmissione orale è quella di non poter tramandare più alle generazioni nuove l’elemento culturale, a causa della loro emigrazione verso altri territori per motivi lavorativi. Le nostre zone interne, infatti, stanno soffrendo di questo fenomeno già da anni e la terra viene abbandonata da chi per generazioni ne ha fatto il motivo di vita intorno a cui far ruotare anche l’arte della commedia. Abbandonare il proprio territorio rischia di far dimenticare anche le origini di tale tradizione e con esse la loro pratica. Un altro pericolo è rappresentato dalla comunicazione virtuale che caratterizza la società moderna, per cui i giovani non sentono più la necessità di riunirsi in piazza per ritrovarsi e fare aggregazione, ma demandano questo ruolo alle piattaforme sociali virtuali che sempre di più costituiscono quella che è la comunità reale di un paese. Inoltre i ragazzi oggi trovano altri spazi dove potersi divertire, locali chiusi o altri spazi dove vedersi durante tutto l’anno e non sentono più la necessità di relazionarsi con le generazioni precedenti che custodiscono questa tradizione. A Mercogliano per fortuna si riesce ancora a tenere saldi i legami intergenerazionali e quindi la tradizione è ancora salvaguardata